sabato 22 ottobre 2011

Splatter TV

Ci si domanda nelle rubriche pensose e corrette se le immagini trasmesse ossessivamente e con compiacimento della cattura e morte di Muhammar Gheddafi siano buon giornalismo e se non sia il caso di proteggere il pubblico televisivo, almeno quello della tv di stato, da certi eccessi.

Io, sinceramente, mi farei altre domande.

Le immagini di cronaca vengono trasmesse attraverso lo stesso medium attraverso il quale vengono trasmesse immagini a volte ben più crude ed emotivamente connotate (si sa la storia, si arriva alla violenza attraverso un climax, una costruzione, una partecipazione più accurata). Questa contiguità ingannatrice (un po' come quella per cui quello che scrivo io su un blog di Repubblica è accanto ad una articolo di Scalfari e può sembrarmi paritario) fanno sì che le immagini di cronaca vengano depotenziate dal punto di vista informativo, assimilandole ad una idea di finzione.

Visto che la cronaca e l'informazione servono a farsi una opinione, queste immagini dovrebbero, ipoteticamente, avere una funzione se non pedagogica almeno formativa. Ma non ce l'hanno.

La loro subitaneità, la loro crudezza, sono fortissimi ma come quei dolori forti ed improvvisi, passano presto. Non hanno modo di sedimentare come invece hanno modo di farlo quei processi informativi lenti, frammentati, non evidenti, accennati, il cui divenire sia costruito. Un esempio, dopo tanti anni le immagini di Mussolini a Piazzale Loreto non hanno perso niente del loro significato.

Le immagini di Gheddafi, invece, hanno solo un risvolto emotivo, scioccante, sensazionalistico. E come tali da un lato verranno dimenticate, perse nella sequenzialità e ripetitività Pop di tutto ciò che è immagine e solo immagine. Dall'altro contribuiranno allo sviluppo di un apprendimento emotivo, superficiale, che non lascia nè conoscenza nè sviluppo critico.

In un sistema di mass-media la profondità della notizia non può, come in una sorta di costante inalterabile, competere con la sua propagazione, con la sua estensione. Questo ultimo avvenimento, quindi, è un mattone in più per un approccio subalterno, passivo e sostanzialmente subìto. Non dico la morte di Gheddafi, ovviamente, ma il modo in cui ce l'hanno fatta vedere.

Nello specifico già non s'è capito bene se fosse amico da baciargli l'anello o nemico da bombardarlo, nè se la Nato abbia tutelato una no-fly zone o se abbia allegramente bombardato il convoglio a ragion veduta. Insomma, non è mai stata una situazione dove si sapeva bene cosa succedesse. Lo stesso epilogo, oltre a non lasciar dubbi che si sia trattato di un linciaggio (ma a opera di chi, quale fazione, quale tribù, perchè non un processo, che gente c'era, pronta ad intercettare il convoglio ?) ha solo piantato in mezzo agli occhi una sequenza confusa di macelleria umana dove quello che in fondo è un essere umano è stato massacrato.

Puro voyeurismo, quindi, informazione zero.

Ed un altra nota; le immagini, che ci paiono tanto vere, proprio per quanto immediate e riprese da telefonini branditi, sono state girate non da terzi neutri, ma proprio da quelli che il linciaggio lo hanno compiuto. C'è una cernita fondamentale, quindi, nelle immagini. Non si vede quello che avviene ma si vede quello che ci vogliono far vedere.

La verità, quindi, sempre più si sposta verso una verosimiglianza, sorella cattiva della verità in quanto sostanzialmente falsa ed ingannatrice.

Ma verosimiglianza che, ce lo ricorda la vicenda dei Protocolli dei Savi di Sion, è stata bastevole e sufficiente a giustificare, formare e motivare una ipotetica opinione pubblica, in realtà immaginario collettivo, che ha cooperato allo sterminio di milioni di persone.

Queste sono le domande che mi farei, e non se sia opportuno o meno mandare certe immagini durante la cena. Il disturbo può non essere solo di ordine digestivo, se non si cambiano le cose.