lunedì 25 giugno 2012

Rust never sleep.

A mia figlia da sempre piace Ozzy Osbourne. Quando lo scorso novembre ho visto che venivano i Black Sabbath in italia, riuniti per l'ennesima volta, ho pensato che per lei fosse l'ultima possibilità di vederli, visto che veleggiano per una irreversibile senilità. Così comprai subito i biglietti on line, salvo poi venire confermati i miei timori quando, causa cancro, l'assenza di Tony Iommi ha modificato l'evento da "Black Sabbath" a "Ozzy and Friends". Vabbè, inculata, ma tant'è, decisi che saremmo andati lo stesso. Premetto che io tanto metallaro non sono, ho ascoltato qualcosa, ma i primordi; la deriva stilistica che il Metal ha preso, già abbastanza asfittico e povero come possibilità espressive, non mi ha mai coinvolto più di tanto. Le mie preferenze sono andate altrove anche se, in certi momenti, riascoltare Hells Bells o Paranoid o Iron Man ha sempre un suo perchè. Sostanzialmente volevo fare qualcosa di mitologico con mia figlia, di quelle cose che restano. E ieri siamo andati, partiti nemmeno all'alba ed arrivati in questo ridente paesino, Rho, che ospita queste manifestazioni. Se c'è un non-luogo è quello. Non so bene cosa sia nella quotidianità. Un parcheggio ? Una zona di carico cargo ? Può darsi. Fatto sta che è una arena bollente e rettangolare di asfalto, organizzatissima con chioschi di ogni genere, dalla piadina alla coca & whisky. Sulla fauna presente potete immaginare. A parte i ragazzetti coi pantaloni a vita bassa, i piercing ed i tatuaggi, c'erano delle presenze sinceramente inquietanti di uomini fatti (o meglio, sfatti) oltre la quarantina, tripputi con improbabili lunghe e stempiate chiome, stomaci birripertofizzati al triplo malto, l'occhio perso e la maglietta sbrendola molto "ggiovane". Mi sistemo buddescamente appoggiato ad una colonna, all'ombra, con il mio libro, la frutta, i panini mentre intorno la transumanza ondivaga procede circolare a passo strascicato, dal palco al panino, dal panino alla birra, dalla birra al gradino, dal gradino al palco e via andare. Si alternano sul palco, in un climax tecnico ed acustico, varie band che, penso, non lasceranno nella storia della musica una impronda indelebile. Al massimo qualche timpano lesionato e qualche litro di catarro, visto il modo tigresco di cantare. Passa il tempo, non passa il caldo, finalmente si arriva a dei livelli più accettabili. Gli Opeth, per fare un nome, che in effetti hanno trovato qualche via di fuga all'ossessivo gabbione riff/batterista scatenato/assolo inutile di chitarra e virtuosismi privi di ogni trippa e anima. E poi comincia Ozzy. Traballante come un orso, cammina incespicando e facendo appello disperato alle ultime tre sinapsi che sono sopravvissute all'olocausto chimico, canta le sue canzoni con una voce che, ahimè, è rauca e dondolante. Pezzi nuovi, conosciuti dagli aficionados ma sinceramente apprezzabili solo per tecnica, e pezzi vecchi. War Dogs, Paranoid, Iron Man, appunto. Certo fa sempre effetto vedere l'azzannatore di pipistrelli, si sente che sotto c'è roba, e non poca, il suo brividone lo dà, non c'è dubbio. Ma un po' fa l'effetto di quelle belle chiese romaniche austere e brutali nelle loro nudità trascendenti che, assunto l'architetto estroso, sono state sputtanate da putti e stucchi barocchi. Belle si, si sente l'ossatura, ma orpellate inutilmente di quella deriva merlettaia che, purtroppo, è la malattia degenerativa di ogni espressione artistica consunta e morente. Finita la scaletta, tanti saluti e tutti a casa, in un rimestare di bicchieri vuoti e cartacce. Gli Dei del metallo mi son parsi un po' arrugginiti e chi li dovrebbe sostituire non sa bene come fare per ridare linfa vitale ad una musica che oramai si può quasi definire "classica". Sperando in un Mozart con le borchie torno a casa anche io, nella allucinata notte padana, via, verso l'appennino, baluardo delle mie colline, della mia toscana increspata di crete e di boschi. Quant'è bella giovinezza che si fugge tutta via, chi vuol esser lieto sia... fuck you, yeahhh !!