domenica 29 aprile 2007
Migrazioni
c'era stata la siccità. poi una notte la terra aveva tremato e il ruscello era scomparso. le mandrie di gnu non si erano fatte vedere per molto tempo. e per questo i nonni e i nonni dei nonni ed i nonni dei nonni dei nonni di Lancia Scheggiata si erano decisi a partire. generazioni si erano spostate, sempre a nord, più a nord. ogni volta un po' di più. leggende riportate da nomadi solitari che incontravano, parlavano di pascoli verdi, di enormi elefanti pelosi, di fiumi larghi come una intera vallata, di fiumi di cui non si vedeva la fine e di acqua amara. il bisogno, la prospettiva di una vita migliore e quell'innata spinta a muoversi, ad esplorare, a vedere cosa ci fosse, ogni volta, dietro quella collina, al di là di un bosco, avevano spinto lui e tutti i suoi antenati a viaggiare. avevano vissuto di stenti, si erano cotti sotto il sole, si erano trascinati le poche cose che avevano; le selci lavorate, le armi, le pelli oramai lacere che cingevano loro la vita. figli erano nati e vecchi erano morti. la notte portava ancora l'eco dei ruggiti che li avevano atterriti. mille volte i dubbi avevano assalito il capo di quel piccolo drappello di disperati. se non fosse il caso di fermarsi, di riposare. ma sempre una forza interiore lo aveva fatto muovere, non accontentandosi delle poche risorse trovate lungo il cammino, con in testa la speranza, l'idea, il miraggio di un posto che li avrebbe accolti, dove avrebbero potuto costruire i loro rifugi, cacciare nuovi animali, vedere crescere sani i loro figli, amare le proprie donne e scrutare il mistero di nuove stelle nel buio della notte. e infine, tanta caparbietà, tanto impegno avevano dato finalmente i frutti sperati. dinanzi a loro, a perdita d'occhio, si stendeva il più incredibile oceano d'erba che avessero non solo visto, ma immaginato nella loro vita. branchi di animali brucavano ovunque. il risplendere di un sinuoso fiume brillava tra due colline. finalmente. e pensando a tutto questo, Lancia Spezzata, coi suoi colori tribali, i suoi amuleti al collo, l'homo afarensis che aveva nei geni e nelle gambe migliaia di chilometri alzò lo sguardo verso il minaccioso neanderthal, con quella strana pelle verde che lo avvolgeva, lo sguardo ottuso incassato in una scatola cranica piena di bozzi, che brandiva una clava che lui non avrebbe nemmeno mai potuto sollevare e disse : in che senso, permesso di soggiorno ?
Incognito - African Song
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2 commenti:
dovresti pubblicarlo;-)geniale ..esilarante ahahaahah
Gio'.
ahahahaha bellissimo, potrebbe essere inserito in un programma scolastico di intercultura
dany
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