domenica 8 aprile 2012

La palla è tonda

Oggi la Fiorentina, quartultima in classifica, ha sconfitto il Milan, capoclassifica, per 2 a 1, in casa del Milan. Tifosi della Fiorentina ed antagonisti viscerali di Berlusconi godono. Io al 10% rientro nella prima categoria, come fiorentino, al 90% rientro nella seconda.

Non mi è mai interessato molto, il calcio, e lo sport in genere. E trovo irritante che venga dato per scontato, come in uno stato teocratico lo è appartenere ad una chiesa, che uno, specialmente maschio, si appassioni a questa cosa. Come un agnostico tra i fedeli so che non sono solo, magari minoranza. Ma non è consolante.

Ma mi chiedo, e mi sono chiesto, come mai questa prevalenza, questa schiacciante passione. L'avevo risolta in una visione puramente partecipativa. Che tutto e il contrario di tutto può esser detto, nel calcio, visto che ogni interpretazione e ogni filosofia poi è soggetta alla legge del caso, del rimbalzo di una sfera contro lo stinco di 22 persone. Ogni interpretazione, ogni scuola, ogni suggerimento ed il loro perfetto contrario sono legittimi.

Certo, la legge dei grandi numeri alla fine prevale, se una squadra di 11 campioni costata miliardi gioca contro una raccattata accozzaglia di brocchi, la prima al 99% vince. Ma c'è quell'1% che manda in vacca tutto. Per cui la combinazione degli eventi, il rinterzo frattale, l'imponderabile assurdo può accadere.

E quindi anche l'ultimo dei dementi può ergersi a pensatore, ad allenatore, perchè non potrà mai essere totalmente smentito dai fatti. Se si fermano 100 persone e si chiede loro una opinione su un fatto di cronaca o una legge fiscale o qualsiasi parte dello scibile umano, ci sarà sempre una rilevante percentuale che dirà di non sapere, di avere le idee confuse. Ma nel caso del calcio no. Credo che la percentuale di individui convinti di avere una idea coerente e di esprimerla sarebbe altissima. Certamente ci sarebbe chi la potrebbe esprimere in termini più articolati, altri si limiterebbero ad un frasario standard da centrocampista sudato che rientra negli spogliatoi, con gli archetipi sibillini e le frasi fatte.

Ma tutti o quasi direbbero la loro.

Ma c'è dell'altro, credo.

C'è che lo sport, il calcio come gli altri, pone di fronte ad un risultato indubitabile. Come ci si sia arrivati, a quel risultato, è magari una combinazione casuale di eventi. Ma una volta che ci si arriva, quello è certificato, non ci sono margini di dubbio, di contestazione. E se fai parte del partito di quel campione, hai in mano un arma, per quanto transitoriamente, vincente. Alla fine di ogni ragionamento e recriminazione potrai dire : si, ok, l'arbitro, la palla, le condizioni del campo, il guardalinee. Ma abbiamo vinto 2 a 1. Tiè.

Questo genere di cose servono dunque a creare delle certezze, delle boe ferme, dei fari nelle tenebre del relativismo quotidiano, della confusione della vita. Arrivo a pensare che sia una forma di pensiero che sta dilagando, in opposizione alla estrema complessità incomprensibile del mondo.

Le competizioni, i quiz, i vari X factor fino ad arrivare alle competizioni ad eliminatorie dei cuochi, la cooptazione televisiva di signori nessuno per farli gareggiare tra loro, i tornei di poker, non sono altro che la competitivizzazione degli eventi. Un processo alla fine del quale, comunque sia, c'è un risultato incontrovertibile, certo, certificato. Che dà sicurezza, offre appigli, conforta.

Anche nella politica, come si è visto fino a l'altroieri, si è avuto da noi la preponderante presenza di un partito il cui proprietario proveniva e si faceva forte di una visione sportiva delle cose. Un partito ed una coalizione che, a fronte delle critiche, alla fine non poteva che opporre : si, ok, ma le elezioni le abbiamo vinte, siamo maggioranza, abbiamo fatto un gol più di voi.

E questo può anche sembrare democrazia, non dico di no. Ma a me pare la dittatura del risultato. Non so quanto mi piaccia, e non so nemmeno che alternative pratiche ci possano essere in una società di massa dove le dinamiche politiche, civili, ideali debbano essere chiare e comprensibili. Quanto poco spazio ci sia per la mezza misura, per l'indeterminatezza. Sarà per la mia scarsa competitività, ma questo modo di vedere, interpretare ed assoggettare il mondo non piace molto, non piace dovermi schierare per forza in una squadra, pena l'essere inconsistente, ininfluente.

Fa male rinunciare alla propria individualità complessa per confluire in un monolitico e monocolore insieme, diventare formica guerriera di un formicaio che, alla fine, non mi convince del tutto, spinto solo dalla necessità di difendermi o prevalere, per non perire. Vorrei poter fare altre scelte.

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