martedì 8 marzo 2011

Oggi, 8 marzo...


"Secondo i dati del World Economic Forum (2010) l’Italia al femminile è disastrosamente, tragicamente arretrata. Le donne italiane sono all’ 87esimo posto nel mondo per la partecipazione al lavoro retribuito; al 121esimo in fatto di eguaglianza retributiva; al 97esimo per la presenza in posti di responsabilità amministrativa e di comando; al 74esimo nel trattamento generale delle donne, dietro Vietnam. Colombia e Perù."

Io ci speravo, anni fa, che le donne potessero essere le protagoniste di una rinascita progressista. Non tanto per una ipotetica superiorità femminile, cui sinceramente non ho mai creduto (così come del resto non ho mai creduto ad una superiorità maschile), quanto per l'incazzatura derivante dalla sedimentazione di centinaia di anni di soprusi e per una acquisita coscienza dei propri diritti.

Invece sono anni, e tanti ormai, che vedo rientrare nell’alveo di un formalismo sessista gran parte dell’universo femminile. Le donne per prime accettano di essere incasellate in un certo modo.

Hanno ceduto a canoni estetici pre-rivoluzione sessuale, oggi siamo addirittura alla rivalutazione del meretricio come modo per fare carriera, o conquistare un posticino al sole.

Non si vede da nessuna parte un minimo accenno al boicottaggio di merce che usa ogni riferimento alla donna come veicolo sessuale di pulsioni mercantili.

Io speravo che ci avrebbero spazzati via come foglie morte, ma evidentemente noi maschietti siamo stati così abili nel propagandare l’immagine di un maschio in crisi, fragile, debole, sensibile, aduso anche lui alla depilazione, fisica e mentale, che almeno come immagine percepita sembra che così ridotto sia meno prevaricatore, minaccioso, violento, e non attaccati al mantenimento delle nostre prerogative, dei nostri privilegi.

Probabilmente sta vincendo la visione per cui, svuotati da ogni essenza, esistiamo socialmente solo rivestendo un ruolo apparente, come proiezione di ciò che si crede e si dice si debba essere.

Persa la concretezza sostanziale dell’avere idee, bisogni, desideri, affetti, viviamo la quotidianità in modo schizofrenico; una realtà di sottomissione depressa e abulica, ma con la testa in una realtà virtuale dove i ruoli sono quelli standardizzati da certa comunicazione di massa.

Quei ruoli che si esplicano perfettamente nella letteratura contemporanea, che è la pubblicità; uomini e donne profumati, o efficienti, spiritosi, intercambiabili, disinibiti, spigliati. Inesistenti.

Come dire, non c’è più la lotta dei sessi in quanto sono scomparsi i sessi, sostituiti da Barbie e Ken la cui libido si è orientata sul possedere qualcosa o qualcuno, invece che sull’essere insieme a.

Tutto passa, anche l’emancipazione femminile, attraverso quel cambiamento che ritengo necessario, culturale, linguistico, mentale, che è passare da questa sbornia di basso consumismo ad una concretezza non cinica ma lucida. Perchè a me preme, eccome, che le donne abbiano riconosciuti nei fatti i loro diritti, ma preme ancor di più che tutti noi si sia, a pieno titolo, delle persone compiute. A prescindere dal gamete.

Si deve, per non soccombere sotto tutti i punti di vista, tornare ad essere. Perchè secondo il vecchio dilemma, avere o essere, noi non solo non siamo più, ma nemmeno abbiamo qualcosa. E dobbiamo imparare a dirlo, a chiederlo, a ottenerlo.

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