domenica 16 maggio 2010

Zulu Dawn

A breve comincerà il campionato del mondo di calcio, e polarizzerà su di sè l'attenzione di tutti. Sarà forse slegato dalle polemiche nostrane, dai tafferugli mediatici, dalle ripicche delle opposte tifoserie, tutti pronti a sparare sull'allenatore invocando rose diverse e lamentandosi di esclusioni incomprensibili. Il calcio, e lo sport in genere, è diventato la vera arma di distrazione di massa.

Tralascio le spiegazioni antropologiche (leggere "la tribù del calcio" di Desmond Morris è utile) per concentrarmi su quello che una volta era uno sport, il calcio, sicuramente seguito e popolare, sopratutto in quanto giocato da molti.

Già di per sè lo sport, inteso ed esteso come è oggi, è una invenzione relativamente recente. Dopo aver avuto una fase di sviluppo normale (quella che oggi è reiteratamente ricordata come fase eroica, e che serve a coprire con l'aura romantica tanti fattacci e storture) il calcio è diventato solamente business e consenso. Il discorso non si limita al solo calcio, basti pensare al ciclismo.

Solo pochi giorni fa, in occasione del gito d'Italia, battevano tutti la grancassa elegiaca delle strade ripercorse dagli "eroi" (avere un ciclista come eroe la dice lunga...)Coppi e Girardengo, imbellettando uno sport ad altissima densità di doping.

Nel nostro paese più che in altri il calcio ha poi assunto una valenza politica. Bata ricordardi l'inizio politico di SB (la discesa in campo, l'aver mutuato il linguaggio sportivo come grimaldello comunicativo, azione efficacissima in questo paese, quanto delirante se fatta in altri). Oramai permea ogni minuto massmediatico, non passa mezzora che qualcuno ne parli, è stato analizzata ogni azione, ogni polpaccio, ogni retroscena. E come un bel giocattolo, che ha in sè quel tanto di mistero che ci permette di fargli interpretare mille storie, una volta che lo si è aperto ed analizzato, ha perso gran parte del suo fascino.

Resiste e si rinnova perchè è un fenomeno frattale, iterativo, come nuvole sempre diverse ma sempre uguali, e se ne può discutere all'infinito senza mai arrivare da nessuna parte. L'indeterminatezza congenita ne fa l'argomento principe da affrontare.

Chi lo difende dice che è seguito in tutto il mondo, che milioni di persone si appassionano e mobilitano. Il fatto che sia così non è che lo doti, tuttavia, di intrinseche qualità. La dice lunga, a mio avviso, di quanto l'umanità abbia bisogno di essere distratta e di avere il tempo libero riempito da qualcosa, non avendo risorse mentali o interessi pratici per farlo autonomamente o individualmente. O in altri casi di quanto serva a fare da contraltare a situazioni di miseria, di disagio, di sottosviluppo.

Le implicazioni politiche sono abbastanza agghiaccianti, pasti pensare alle tigri di Arkan, tutti ultras dello stella rossa di belgrado, se non erro, e quanto in certi ambienti ultras europei peschi l'estremismo xenofobo e razzista.

Del resto la faccia nera della medaglia calcio è quella per cui non si è solo tifosi della propria squadra/campanile/tribù, ma si è anche avversari della squadra/campanile/tribù altrui, agendo quindi come un collante fideistico, para-religioso, certo non razionale, per veicolare purtroppo anche molta della violenza repressa che circola. Ed è innegabile, vedendo i quotidiani fatti di cronaca che vertono sulle manifestazioni dei cosiddetti "tifosi".

Tutto questo, per me, dovrebbe esigere che le persone sane, quelle che possono coltivare un pacato interesse nello sport, se ne allontanino, contribuendo altrimenti a legittimare certi comportamenti deteriori e fornendo l'acqua nella quale nuotano certi pesci orribili che con lo sport, con il calcio e con la leale competizione niente hanno a che fare. Not in my name, insomma.

Ma tanto tra poco tutte le possibili obiezioni saranno soffocate dal suono atroce delle trombette Vuvuzelas, o come si chiamano, e anche quelli a cui proprio non gliene fotte una minchia, come me, saranno purtroppo circondati da questa immane rottura.

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